Racconti: Valeria



Oggi avrei voluto avere una giornata indimenticabile, perché si trattava di festeggiare, assieme al mio cinquantanovesimo compleanno, anche un anniversario più importante: quarant’anni dal mio primo incontro con Carlo. Ma la festa si è tramutata un grigio, insulso giorno senza lui.

Mio marito è un alto funzionario della Digos, diciamo il numero due della struttura a livello nazionale, e ciò purtroppo lo porta spesso lontano da me, e non contano ricorrenze o festività: quando una importante missione richiede il suo intervento, nulla riesce a scalfire questa sua priorità.

Svegliarmi e rendermi subito conto che il posto accanto a me nel letto è irrimediabilmente vuoto non è certo il massimo della felicità, ed il mio carattere romantico emerge con tutti i suoi limiti, facendomi percepire una sofferenza superiore al normale, alla comunque abituale rassegnazione rispetto al suo lavoro, così “inderogabile”.

Ogni sua possibile assenza è comunque uno dei più pesanti scotti da pagare per una vita per altri versi interessante, unica.

Intanto c’è Carlo, con il suo carattere, la sua intelligenza, il suo smisurato affetto.

Posso a buona ragione ritenermi una donna molto fortunata, sia per aver trovato un compagno così caro, così affettuoso, ma anche per le tante cose speciali che l’essere moglie di Carlo mi ha offerto.

Ufficialmente la sua posizione è di funzionario diplomatico: oltre che una copertura, è un modo per fargli fare delle ferie divertenti, inconsuete.

Lo mandano periodicamente in vacanza come “attaché” dei più prestigiosi consolati del nostro Paese nel mondo, e io seguendolo, ho vissuto avventure emozionanti, ho avuto modo di frequentare il fior fiore del bel mondo internazionale.

Senza contare che in queste missioni-vacanza si allenta la morsa della sorveglianza, della protezione indispensabile alla nostra famiglia quando siamo a casa, a Venezia.

La città è stata scelta come roccaforte del suo staff non solo perché lì siamo nati entrambi, ma soprattutto perché le sue peculiarità la rendono ideale per creare un fortino inespugnabile e ben controllabile, senza tuttavia dare nell’occhio.

Viviamo in un bellissimo palazzo sul Canal Grande, lontani da un vicinato curioso e pettegolo, e con gli spazi giusti per la scorta..

Senza contare che nella vicinissima caserma dei pompieri è stato ricavato alloggio per una piccola ma agguerrita guarnigione, sempre pronta ad un intervento speciale in caso di emergenza.

Oltre alla servitù, al pianterreno del nostro palazzo la scorta vigila ed al tempo stesso svolge quei compiti investigativi che sono il nocciolo duro del lavoro di Carlo, di cui per ovvi motivi non conosco i particolari.

Non chiedo mai a mio marito di farmi partecipe dei suoi segreti e comunque lui certo non lo farebbe, anche per proteggermi e per non annoiarmi, per farmi in qualche modo dimenticare il peso, la responsabilità dei suoi doveri.

I suoi collaboratori, tutti laureati, sono dieci, sei maschi e quattro donne. Fanno turni di otto ore, garantendo una presenza minima ma efficace, una sorveglianza discreta ma continua.

Otto/sedici e sedici/ventiquattro sono presidiate da una coppia, mentre il turno di notte è garantito, a rotazione, da un solo uomo.

Chi fa il turno di notte, in solitaria, ha solo il compito di sorvegliare, mentre i funzionari che lavorano in coppia durante il giorno sbrigano principalmente il lavoro d’ufficio, quelle pratiche investigative di cui conosco solo vagamente l’importanza.

Immagino che aver scelto personale non solo addestrato militarmente, ma anche in grado di svolgere qualificate mansioni di indagine sia una scelta precisa di Carlo, che ama circondarsi di persone fuori del comune, con cui potersi sentire alla pari.

Perché Carlo sa rapportarsi alla perfezione con chiunque, ma a volte ha la sensazione, dall’alto della sua superbia, di essere isolato, quasi emarginato; e comunque la sua professione gli impedisce di avere relazioni profonde senza una adeguata ed attenta scelta. Altro scotto da pagare.

Tutte queste considerazioni sulla vita speciale che ci scorre accanto me le faccio a mo’ di consolazione, per scacciare la tristezza di questo risveglio senza lui.

E pigramente scendo per colazione, ma una piacevole sorpresa mi attende: sul tavolo vicino alla mia tazza di caffé c’è una bellissima rosa posata su una busta. Ancora uno dei meravigliosi giochi di Carlo, che non tralascia occasione per strabiliarmi, per mostrarmi il suo amore, anche in forme leggiadre e leggere.

Con ansia apro l’elegante busta e ci trovo una foto meravigliosa di fuochi d’artificio, e con la dolce grafia di Carlo questa bellissima quartina:

 L’amore è come un fuoco artificiale:

scintillio di colori e un gran rumore;

dura un istante, ma il suo tempo vale

come un ricordo eterno, dentro al cuore.

 Carlo al solito è delizioso, ed efficace: con poche parole ha pennellato l’essenza del nostro primo incontro, il ricordo di quello che oggi si voleva festeggiare assieme.

Avevo allora diciannove anni e come regalo di compleanno, i miei genitori mi avevano offerto una vacanza da sola a Parigi.

Era bellissimo vivere un compleanno nella più rutilante capitale del mondo proprio nei giorni della più grande festa popolare, il 14 luglio e mentre seduta in un caffè mi godevo lo spettacolo pirotecnico, per la prima volta udìi alle mie spalle la sua gradevole voce:

“Grandiosi sti foghi, ma el nostro Redentor xe tanto mègio!”

Sentire in Francia il mio dialetto, e sentirmi a casa, a mio agio, fu un tutt’uno; mi voltai grata verso la voce amica e quel che vidi confermò la mia sensazione piacevole: un bel ragazzo, con un sorriso solare e due buffe orecchie a sventola, un poco fuori luogo in quel suo volto quasi perfetto le quali tuttavia, senza deturparlo ne mitigavano la leziosità, ne aumentavano la simpatia.

“Ci conosciamo?” dissi, e lo feci con sincera curiosità, senza spocchia.

“Si, io ti conosco, studiavamo nello stesso liceo, il Marco Polo, ma io mi sono diplomato due anni fa.”

“Non farmi pensare alla maturità: è passato già un anno da quell’esame, ma ancora me lo sogno di notte, e ti assicuro che è un bell’incubo”.

Il ghiaccio era rotto; venne a sedersi al mio tavolo, chiedendomene il permesso non con le parole, ma con quel suo sorriso smagliante, primo di una interminabile, deliziosa serie. Ci intendemmo da subito con una occhiata, e da allora non abbiamo mai smesso!

A quel tempo mi sembrò una ben curiosa coincidenza trovarci così per caso a Parigi. Solo molto più tardi, quando fu sicuro che avrei capito nel modo giusto, Carlo mi confessò che quel “caso” era stato accuratamente predisposto e preparato, visto che da molto tempo aveva puntato gli occhi su di me, ed aveva deciso che sarei stata la compagna della sua vita; nemmeno per un attimo ammise la possibilità che io non fossi d’accordo, e comunque aveva visto giusto, fui d’accordo; anche se feci abbastanza fatica ad abituarmi a lui, sempre così espansivo, iperattivo, esagerato.

Era tuttavia una esagerazione che si faceva ben volere, un accorgermi che tutto sommato persone speciali come lui non esistevano solo nelle mie fantasie: lui era reale e sempre presente, sempre disponibile; credo che tra le tante virtù, quella che mi ha stregato fin dall’inizio sia stata proprio la disponibilità.

Ora rigiro tra le mani la quartina che Carlo mi ha fatto trovare di buon mattino e conoscendolo, immagino che la giornata sarà meno grigia del previsto: lui ha messo in atto uno dei suoi meravigliosi giochi, penso sarà una specie di caccia la tesoro, e così sarò un po’ meno sola.

Anche se è difficile sentirsi soli in una casa tanto presidiata: in ogni angolo ti spia una telecamera, ed un microfono è pronto a captare anche un sospiro; certo si fa l’abitudine a tutto, un po’ per volta le telecamere entrano a far parte del quotidiano, dell’arredo, ed i sospiri si lasciano andare come se nessuno fosse pronto a raccoglierli; chi li raccoglie lo fa comunque con discrezione, amicizia e dedizione.

In bagno ed in camera da letto non ci sono telecamere: solo sensibilissimi microfoni, che però entrano in funzione quando il rumore sia di una intensità calibrata, diciamo che per far scattare il contatto bisogna parlare ad alta voce; e tra noi è così piacevolmente abituale bisbigliare…

Sopra la porta della camera una piccola spia rossa avverte che qualcuno è pronto all’ascolto, ma Carlo ha trovato il modo per neutralizzare questo apparato; così quando decidiamo che il nostro dormire assieme assuma i panni più piacevoli, la piccola luce rossa resta spenta. Non è un grande rischio qualche ora di isolamento, e ci fa sentire come degli scolaretti birichini e furbetti.

Ma come avrà fatto Carlo a far comparire la rosa ed il biglietto che ieri sera certamente non c’erano sul tavolo in sala da pranzo? Ovviamente avrà dato questo incarico speciale ad Arturo che stanotte era di vedetta.

Arturo non è solo il capo indiscusso della corte personale di Carlo, è il suo migliore amico; assieme dalle elementari, compagno di giochi nell’infanzia, compagno di banco per tutta la carriera scolastica, compagno di stanza all’università (Carlo ha conseguito la laurea alla Sapienza, e gli anni romani sono stati i primi del nostro stare insieme); all’inizio eravamo soltanto molto amici, molto intimi, e la coppia si è formata piano piano, come goccia continua che però scava la pietra, e Arturo con intelligenza si è allora fatto da parte, senza darlo a vedere, con una delicatezza inusitata in un uomo.

Un vero amico, pronto anche a dare la vita per Carlo, e non solo metaforicamente: l’unica volta che mio marito ha corso un pericolo serio durante una missione in Medio Oriente, e si è trovato coinvolto in una sparatoria, Arturo gli ha fatto letteralmente da scudo, intercettando un colpo vagante e beccandosi un calibro quarantacinque tra le costole che per poco non lo spediva al Creatore.

Ma anche in questo caso ha fatto sfoggio di tutta la sua discrezione, fingendo disperatamente che fosse stato un caso. Versione che Carlo non si è mai bevuta, ma che a sua volta ha finto di accettare, per ringraziare così l’amico.

Mi piace uscire quando Carlo è a piano terra nel suo ufficio a lavorare, è allora che faccio le mie interminabili passeggiate alla riscoperta quotidiana della mia città, ma quando lui è via, non mi va di uscire, preferisco aspettare l’ora di pranzo in compagnia di un buon libro, e preferisco rileggere qualcosa che abbiamo commentato assieme, tanto per assaporare brandelli della sua presenza.

So anche che lui sa benissimo cosa finirò per scegliere, si diverte un mondo quando scopre di aver puntualmente indovinato, lo esalta questo strano modo di pensare all’unisono, una cosa che mi è accaduta solo con lui.

Così anch’io indovino e sento che tra le pagine di quello che sceglierò adesso ci sarà qualcosa…

Ed è proprio così! Carlo è ancora lì, con i suoi deliziosi, brevi versi

Lascio parole, germi di pensiero,

segni donati come testamento:

perché rimanga, come voglio e spero

dolce il ricordo del mio sentimento.

 Non so come farei a vivere, senza i meravigliosi giochi di mio marito. Per lui il gioco è la cosa più importante, più interessante nella vita: è una faccenda tremendamente seria; niente a che vedere con l’idea di accomunare il gioco all’infanzia, dargli quindi un significato ed un valore banale, di trastullo, di passatempo; per Carlo il gioco è un modo per esprimere voglie, desideri, sentimenti, e le occupazioni “serie” della vita non sono altro che pause tra un gioco e l’altro.

Ovviamente le sue scelte sono sempre intelligenti; ci si illude di capirlo, sembra che la soluzione finale sia scontata, banale, ma alla fine il guizzo della sua fantasia inarrestabile ci propina la sorpresa, quel tocco personale con cui Carlo riesce a farsi amare.

E ad amare. Credo che il motivo principale per cui Carlo mi ama sia il fatto che riesco sempre a seguirlo nei suoi giochi, non lo deludo mai, mi mostro sempre pronta e recettiva.

D’altro canto è indispensabile avere certe valvole di sfogo, quando l’occupazione principale è tanto importante e stressante; con questa sua personale valvola, Carlo riesce a tollerare ogni genere di pressione, di fastidio, con calma olimpica, con una serenità che gli consente di usare sempre al meglio le sue tante doti.

Pranzare da sola non è mai stato esaltante; oggi in particolare mi deprime vedere la sua sedia vuota, perciò decido di mangiarmi un panino strada facendo per il Lido; passerò il pomeriggio sulla diga degli Alberoni, sdraiata al sole senza fare null’altro che pensare; e a rimuginare sulla terza busta profumata che ho trovato a mezzogiorno in punto sul mio scrittoio.

Non ho voluto leggere subito, voglio avere qualcosa di bello da aspettare per tutto il pomeriggio: al tramonto, in riva al mare leggerò, e così mi sembrerà di avere lui accanto, come se non fosse mai partito.

E il tramonto arriva in fretta, infuocato come sempre, mentre una leggera brezza accarezza la mia pelle arrossata dalla lunga esposizione al sole.

Con te voglio giocare a rimpiattino,

lasciare in giro parte del mio sogno:

anche lontano ti sarò vicino

che solo di ricordi avrai bisogno.

 Enigmatico questo terzo messaggio, ma sempre gradevole. Ancora oggi le sue parole riescono a darmi un gran senso di serenità, di pace, anche quando il significato è velato, nascosto quel tanto che basta per attizzare la curiosità, l’attenzione.

Questo invece è quello che lui più sa apprezzare in me: l’attenzione che gli presto, l’importanza che do ad ogni sua parola, detta o scritta che sia.

Ma come ha profetizzato, tornando a casa è il ricordo di lui la più piacevole compagnia.

La caccia al tesoro non è ò terminata, e la chicca finale è ad attendermi in camera mia: appena apro l’uscio, intravedo una sagoma conosciuta, che tiene in mano due candeline scoppiettanti, di quelle che bruciando emettono una quantità incredibile di scintille, piccolo surrogato domestico dei fuochi d’artificio; la gioia prende il sopravvento sulla sorpresa, gli corro incontro, lo abbraccio correndo il rischio di scottarmi :“Che ci fai qui?”

“Mio cugino, quello che sta in aviazione, ha riportato a casa metà del suo stormo e domani torna a Bagdad a prendersi il resto riportando me; mi ha dato un passaggio perché potessi partecipare ad una festicciola in famiglia…”

Guardo speranzosa sopra la porta: come ho sospettato la lucina è inequivocabilmente spenta.

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