Racconti : Carlo


 

Quello che adesso mi manca per essere veramente felice, è l'essere circondato dalla gioventù, come quando ero in servizio. Sono un insegnante in pensione, ormai prossimo alla sessantina, ma ancora non mi rassegno, non mi decido a diventare vecchio.

Una vita spesa tra i giovani, a spiare i loro progressi, i loro cambiamenti, professionalmente dedicato ad aiutarli a crescere, mi ha fatto questo regalo: conosco oramai ogni dettaglio della giovinezza, ho assorbito tutta la forza e la voglia di essere, di continuare all'infinito questa avventura; e per un mutuo scambio, mentre ho infuso ai giovani cultura e saggezza, ne ho carpito, facendola mia, la voglia di vivere.

Svolgere una professione gratificante non è stata su questo versante la mia unica fortuna: anche il fisico mi aiuta, resistendo abbastanza bene alle ingiurie del tempo. Quest'ultimo aspetto è però un'arma a doppio taglio, perché un fisico ancora prestante mi porta spesso a sopravvalutare le mie forze, a pretendere un po' troppo e ad assecondare quel desiderio di esagerare che mi ha accompagnato per tutta la vita.

Così talvolta il mio comportamento è leggermente criticabile; non dico riprovevole o sconveniente, ma senza dubbio poco consono all'età anagrafica.

Quello che comunque fa ancora di più e di peggio del fisico è il mio carattere che non conosce solo gli eccessi dell'esagerazione, ma che fa i salti mortali per conservare il suo spirito fanciullesco; e dalla unione carattere/curiosità nascono avventure uniche nelle quali riesco ad impelagarmi a meraviglia.

That is life dicono oltremanica ed oltreoceano, la vita è questa, una continua avventura e se così non fosse, non varrebbe certo la pena di vivere.

Qualche tempo fa ero alla stazione di Firenze, in attesa di ripartire per casa ed il primo treno utile non sarebbe partito prima di due ore, troppo poche per una visita della città, che comunque conosco già come le mie tasche, ma troppo lunga per trascorrerla in una panca della sala d'attesa.

Così bighellonando nei pressi della stazione, ho trovato un internet point, un bel modo per passare il tempo senza annoiarmi; una rapida scorsa alla posta, due righe sul newsgroup, e intanto mi si sedette accanto una stupenda fanciulla; poco più che trentenne, a giudicare dalla pelle, vellutata e senza traccia di rughe; bionda ramata, quasi castana, alta e snella: un bel tipino.

Non ho l'abitudine di fare il cascamorto con le ragazzine e questa sarebbe potuta essere mia figlia, ma non riuscivo più a concentrarmi sulle mie pagine; cercavo di non far notare la mia curiosa attenzione, ma non sapevo resistere alla tentazione e continuavo a sbirciare dalla sua parte; così mi accorsi che era in difficoltà con le pagine web, una neofita che annaspava, o una imbranata doc, per natura e posizione.

Questo fece scattare,oltre all'interesse opportunistico, la deformazione professionale, lo spirito dell'insegnante che ama spiegare, correggere, educare.

"Permette che la aiuti? La vedo in difficoltà…"

Mi elargì uno splendido sorriso rispondendomi: "Magari! Ma non le farò perdere del tempo?"

"Non ho altro da fare che perdere il mio tempo, e farlo assieme a  lei penso sarà molto piacevole. Il mio nome è Carlo: insegnavo storia e filosofia al liceo, ma ora sono a riposo, e il mio tempo non è più prezioso; comunque posso regalargliene quanto ne vuole, se me lo permette."

Cominciai allora a spiegarle i piccoli trucchi di Google, il motore di ricerca che da tre mani a chi lo usa con criterio, con logica, ma fa impazzire i meno esperti che si perdono in una ridondante marea di notizie inutili, pleonastiche, a volte persino fuorvianti e dannose.

Come diceva mio nonno, le cose del mondo si dividono in due grandi categorie: le facili e le difficili; tutto quel che si sa è facile, per contro tutto il resto è difficile; giuro che il mio patronimico non è de la Palisse!

Grata e felice, cominciò a raccontarmi di se, una storia semplice, banale, come tante altre, ma stetti ad ascoltarla come se mi narrasse delle sette meraviglie: potenza della gioventù!

Fu così facile fare amicizia con Ester, che mi parve naturale darle il mio indirizzo di posta elettronica, pregandola, se ne avesse avuto voglia e tempo, di contattarmi, per continuare a conversare simpaticamente in rete.

Quando aggiunsi la notizia che vivevo a Venezia, con entusiasmo aderì al mio invito: così ebbi anche il suo indirizzo di posta elettronica.

"Ma se ci divertiremo scrivendoci, potrò anche venirla a trovare di persona, magari con mio marito? Venezia è un sogno per noi, ogni volta che ci torniamo è come una prima volta, l'atmosfera quieta ed incantata ci fa dimenticare lo stress del traffico, i rumori e le puzze della nostra città!"

"Quanto a puzza, Venezia si difende alla grande; ma è un male odorare sano di altri tempi; non ci sono derivati del petrolio a minare la salute e a spargere tumori. Anche se la vicina Marghera si premura di ristabilire l'equilibrio statistico, con i suoi miasmi cancerogeni."

Si era fatta l'ora del treno e così, a malincuore, mi accomiatai. Durante il viaggio di ritorno non lessi nemmeno una riga dello stupido quotidiano che avevo acquistato come viatico, trasgredendo alle abitudini: da anni non compravo più i fogli zeppi del pattume del mondo.

Evitavo anche come la peste i telegiornali e quel poco di notizie importanti le ricavavo da internet, tanto per essere aggiornato, per non sentirmi completamente tagliato fuori da un mondo reso sempre più ipocrita dalla carta stampata.

Non erano solo i fatti stupidi del pianeta a farmi rinunciare all'informazione, ma la convinzione, maturata in lunghi anni di osservazione critica, che la categoria dei pennivendoli, dei giornalisti, fosse una delle peggiori, responsabile di nefandezze imperdonabili.

La mia cultura è vasta, ma non onnicomprensiva. Però alcune cose, poche a dire il vero, le conosco molto bene, vuoi per dovere professionale, vuoi per pura passione ed inclinazione: gli argomenti di mio interesse li ho sempre affrontati con grande impegno, studiando e documentandomi fino all'inverosimile.

Ecco che ho potuto notare come, ogni volta che sulla carta stampata appare qualche cosa che rientra nelle materie di cui ho conoscenza approfondita, è viziata da inesattezze, strafalcioni, spesso autentiche bugie, e non solo dette per convenienza ed opportunismo, ma sovente addirittura gratuite, mentite per il gusto di mentire.

Di qui la considerazione che la menzogna non può essere concentrata per strana coincidenza sulle poche cose che so, ma deve essere diffusa ecumenicamente. La conseguente, terribile deduzione è stato il facile ragionamento che ho attribuito a tutta la classe giornalistica. "se mentono anche dove non ne hanno alcun interesse - mi son detto - figuriamoci dove c'è qualcosa da guadagnare".

Poi la responsabilità più grande, la politica. Nessuna persona comune ha la possibilità di partecipare in prima persona alla vita politica del paese, quindi tutti devono abbeverarsi alle notizie, ai resoconti, stampati o telediffusi, dove ciascun cronista ci mette del suo.

Va da se che il popolo può formarsi una opinione, ed infine sposare una bandiera solo sulla scorta delle informazioni che ha; ma se queste sono viziate all'origine, sono mendaci, lascio immaginare come saranno le opinioni politiche nate su presupposti tanto fragili e scorretti.

Ecco perché odio una categoria che ritengo responsabile di uno dei peggiori misfatti che un essere pensante possa compiere: l'imbroglio sulle idee, sugli ideali.

Così non lessi nemmeno una riga; ma non ebbi il tempo di annoiarmi: per tutta la durata del viaggio non feci altro che pensare ad Ester, al suo sorriso solare, ai suoi capelli biondo rame. Ma non solo: la ragazza mi intrigava assai più di quanto fossi disposto ad ammettere a me stesso più per il carattere allegro e aperto che per l'aspetto fisico, che pure era magnifico.

Ero certamente presuntuoso a voler giudicare una persona con cui avevo trascorso così poco tempo ma era stato proprio la brevità dell'incontro a destare la mia meraviglia, di come avesse saputo in quei pochi momenti dare una immagine di se così allettante ed al tempo stesso così vera.

Non dico un colpo di fulmine, alla mia età sarebbe stato disdicevole, ma qualcosa di strano era scattato in me; sentivo che quella spontaneità, quella freschezza appena assaporate avrebbero potuto svilupparsi, potevano portare qualcosa di buono.

Ero talmente convinto di aver fatto un buon incontro che non vedevo l'ora di arrivare a casa per scriverle, per riallacciare un  feeling che mi pareva fosse nato tra noi.

Gentile Ester, ci siamo conosciuti da poche ore, ma già la sua assenza mi induce una strana nostalgia. Mi preme ringraziarla per l'opportunità che mi ha dato di fare conoscenza, e inoltre di avermi permesso di scriverle, cosa che mi fa sentire un poco più vicino, come se lei fosse ancora accanto a me. Spero che vorrà continuare ad essere cortese con me rispondendo a questa e-mail, sempre che ciò non le dia fastidio o le costi troppa fatica. Desidero infine dirle che ho trovato la sua compagnia molto piacevole, ed il suo comportamento è stato tanto naturale ed allegro da farmi sentire come se la conoscessi da molto, moltissimo tempo.

Con stima

Carlo

Questo scrissi appena arrivato a casa e premetti invio senza rileggere, per timore di trovare le mie parole esagerate, di non avere il coraggio di inoltrare il messaggio; lo spedii senza pensare come lo avrebbe preso Ester.

Volevo rapidamente testare se la mia impressione di una certa disponibilità al dialogo della giovane donna fosse reale e non una mia illusione,  o se invece fosse il fraintendere una naturale giovialità come interesse nei miei confronti. Non potevo immaginare allora di essere sul punto di costruirmi una gabbia d'oro, dalla quale in seguito mai avrei voluto tirarmi fuori.

Egregio Professore - fu la risposta sollecita che solo due ore dopo trovai nella casella di posta - sono estremamente lusingata dalle sue parole ma soprattutto che abbia voluto inviarmele. Solo il fatto che mi abbia scritto davvero mi meraviglia piacevolmente. Quando le ho dato il permesso di scrivermi pensavo fosse un discorso buttato li, senza seguito, o al massimo che tra qualche tempo lei mi avrebbe inviato dei generici saluti. Non immaginavo certo di avere una così rapida smentita alla mia incredulità, né di aver suscitato un così grande interesse in una persona colta e di grande esperienza come lei. Infine sono un poco confusa anche se felice nel leggere che ha una qualche nostalgia di me. Non osavo sperare di essere risultata tanto simpatica nei pochi piacevoli minuti trascorsi assieme; ma le sue gentili parole fanno di tutto per contraddire il mio pessimismo

Cordialità

Ester

Se mi era andata bene una prima volta, non volevo continuare a sfidare la sorte: questa volta non mi precipitai a rispondere, mi presi tutto il tempo; intendevo pesare ogni parola, essere certo di non lasciare spazi ad interpretazioni errate del mio pensiero, volevo gettare le basi per un rapporto franco e duraturo; rilessi cento volte il breve messaggio di Ester, cercandovi sfumature che in qualche modo alimentassero le mie speranze; ma in realtà, cosa speravo da questa relazione epistolare?

Nemmeno io lo sapevo, non avevo certo le idee chiare, tranne che su di un punto: era una folata di gioventù quella che mi passava accanto, ed avrei fatto bene ad adeguarmi, per non vederla inesorabilmente dissolversi.

Cara Ester - rimasi assai combattuto nel dubbio di usare un incipit così prepotentemente chiaro sulla svolta che intendevo dare a questa amicizia - anche il mio stupore è grande nel constatare come lei abbia preso a cuore la nostra corrispondenza, che sento ancora un po' troppo formale; spero non le dispiaccia se le propongo di passare al tu, che ci consenta di abbandonare fronzoli stilistici a favore di un conversare più  franco e diretto. Le ho parlato di nostalgia e forse sono stato un poco esagerato. In realtà, come già le scrissi, mi sembra di conoscerla praticamente da sempre, e questo significa che, anche senza approfondirla, traspare tra noi una certa affinità; ho infine la sensazione che intrecciare i miei pensieri ai suoi mi farà star bene, e mi auguro che al contempo potrò far star bene anche lei.

Carlo 

E subito la replica:

Carlo, è magnifico; quello che mi chiedi ancora una volta mi sorprende e mi lusinga; mi pare che questa maggiore confidenza, questo accantonare le barriere dei pronomi sia la naturale continuazione del nostro primo incontro, quando quasi senza accorgercene siamo entrati immediatamente in sintonia. È così bello che ancora non riesco a crederci…"

Ma ci credeva Ester che continuò con toni tanto entusiastici che ebbi persino dubitare che vi potesse essere dietro un calcolo, un disegno di cui mi sfuggivano i particolari, ma che incombeva minacciosamente sul nostro futuro.

E per parecchi giorni seguitammo a scriverci sempre più intensamente, infarcendo entrambi i nostri messaggi dei rispettivi passati, notizie che denunciavano l'ansia di colmare al più presto i vuoti, le lacune di tutto il tempo che avevamo vissuto senza conoscerci.

In tutto questo conversare  a distanza vi era tuttavia un neo, un particolare che mi inquietava. Ester andava soggetta ad una sconcertante alternanza di umore: se un giorno mi scriveva pensieri appassionati, che facevano nascere in me le più rosee speranze, immediatamente il giorno seguente cambiava registro, sfoderando il meglio del suo sarcasmo, punzecchiandomi, certo senza acredine, ma con un impegno ed una animosità che mi facevano dubitare delle promesse intraviste tra le righe del messaggio del giorno prima.

Finalmente una incredibile sorpresa mi chiarì brutalmente il mistero.

Non aspetto visite mentre riordino gli appunti preparatori ad una specie di autobiografia che ho in mente di lasciare ai posteri, quando il campanello di casa prende a trillare.

Chissà perché, il mio pensiero corre ad Ester. Così quando, aperto l'uscio, mi appare in controluce la sua figura slanciata, non provo alcuna meraviglia, come invece sarebbe di prammatica.

"Buon giorno, mia cara; qual buon vento?…"

"Ciao, scusa se ti capito tra i piedi così all'improvviso… ti disturbo forse, hai da fare?"

"No, accomodati, per te ho sempre tempo; nessun disturbo, solo un po' di curiosità; non mi aspettavo certo una visita tanto gradita; che fai? Non entri?"

Ester esita, quasi si trovasse qui per caso e non per sua precisa scelta. Ma il motivo della sua apparizione le è ben chiaro, immagino perché alla fine si risolve ad entrare, curiosando tra le suppellettili che ingombrano casa mia, abbracciando con uno sguardo tutta la mia reggia e mi figuro pesando, da quel che vede, il carattere ed il gusto del sovrano.

"Te lo figuravi così, il mio antro?"

"No, me lo immaginavo più "serioso" , mobili antichi, librerie in legno massiccio straripanti di volumi, poca luce e profumo di cera per mobili…"

"Una specie di sagrestia dunque."

"Non proprio, ma ci sei vicino!"

La faccio accomodare in salotto, e si accoccola volentieri sul divano di pelle nera.

"Ti sarai già chiesto, superata la prima meraviglia, del perché di questa visita non annunciata."

"Si, sono proprio curioso di sapere. - le rispondo divertito - non so proprio a che debbo l'onore…"

"Non si tratta di onore; anzi, direi, il contrario: sono qui per umiliarmi, per farti una confessione dolorosa ma necessaria."

"Piano, piano! Cosa sono queste storie di umiliazioni, di dolori?"

"Taci! Non interrompermi, se no rischio di perdere per sempre il coraggio di dirti quello che voglio sia chiaro una volta per tutte!"

Annuisco e mi dispongo ad ascoltare attentamente e, confesso, con una punta di paura, come un presentimento che quanto sto per sentire mi sconvolga la vita.

"Sono qui per renderti una confessione completa, per scusarmi e tentare di farti capire, se non di farmi perdonare; perché quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto, è imperdonabile…"

"Abbiamo fatto?"

"Non interrompere, per favore. Non tu ed io, ma la diabolica Ester ed il suo diabolico marito. Questa lo so sarà per te la parte più dolorosa da digerire, ma ti prego di pazientare e di ascoltarmi fino alla fine senza interrompermi. Rischio di non farcela a continuare, se mi fermi ancora…"

"Ti ascolto buono buono, lo prometto!"

"La coppia diabolica ha architettato uno scherzo, un gioco crudele che ora mi si ritorce contro, che adesso devo confessarti, per placare il mio rimorso. Il mio peccato originale è stato quello di sottovalutarti, di considerarti una facile pedina, da manovrare a piacere, da usare senza scrupoli per rompere la monotonia, per riempire qualche serata in modo originale. Non ho saputo considerare, non ho voluto nemmeno prendere in considerazione la possibilità che tu prendessi tutto sul serio, credevo possibile farti partecipare al gioco anche senza metterti al corrente delle regole. Perché sinceramente ho creduto che anche tu giocassi, a modo tuo. Le tue esagerazioni, quel eccesso di stima e simpatia che mi comunicavi, io li ascrivevo alla tua voglia di giocare; insomma non ti ho creduto, non ti ho preso sul serio. Eri, scusami, troppo perfetto per essere vero, mi parevi tanto costruito che non mi pareva brutto renderti la pariglia, divertendomi un poco alle tue spalle: in fondo te lo meritai, mi dicevo, sconcertata dalle tue iperboli, dai tuoi voli pindarici. Veniamo al dunque, al momento più bruciante della confessione: ma ti prego, aspetta ad indignarti, anche se ne avresti diritto, consentimi di finire, di trangugiare fino in fondo l'amaro calice…"

Non voglio interrompere la solennità del momento e mi limito ad assentire: "Continua, ti prego, starò attento, fino alla fine…."

"Allora devi finalmente sapere come atrocemente sei stato ingannato: tante volte hai espresso meraviglia per i miei repentini cambiamenti d'umore - a volte mi sembri un'altra persona - mi dicevi, e non sapevi quanto tu fossi vicino alla amara, vergognosa verità. Ci siamo alternati, io e Franco, nella stesura delle e-mail, per gioco, per consentire a mio marito l'esercizio della scrittura, uno dei suoi passatempi preferiti; era lui dietro la Ester brillante, amabile ed amata, era lui che ti inebriava con lettere appassionate e dolci, ricche di meravigliose quanto improbabili promesse; e toccava a me ridimensionare le cose, mostrandoti tutti quei pensieri foschi che tu prendevi per scarti d'umore. Ma le tue repliche, pacate alle mie intemperanze ed infuocate alle ingannevoli dolci proposte di Franco, poco a poco mi hanno fatto mutare opinione su di te. Troppo esagerate per essere false, sarebbe stato far un torto alla tua intelligenza ed alla tua cultura ritenerle costruite: solo una genuina passione avrebbe potuto così bene offuscarti il senno, e così cominciai a giudicarle come realmente erano, un inno all'amore, il più puro ed il più folle al tempo stesso, come mai mi era capitato di vedere. Anche la pregevole prosa di Franco non reggeva il confronto: c'era nei tuoi scritti la forza della verità. Mi hai conquistata per tappe successive: dapprima mi sono lasciata andare ad un languido, romantico sentimento che non sapevo bene definire, orgoglio di femmina corteggiata, simpatia materna per i clamorosi eccessi, un misto di nostalgia e di imbarazzo, poi poco a poco l'ammirazione ha fatto breccia, prima nella mente, ed infine ha conquistato il cuore, devastandolo. Approfittando dell'assenza di Franco, inviato in missione per un lungo periodo, mi sono completamente sostituita a lui, facendoti pensare che i miei malumori fossero drasticamente diminuiti, se non debellati,perché scaltramente ho continuato a strigliarti di tanto in tanto, a tenerti sulla corda, ma non per cattiveria, solo per coprire l'inganno, per non farti scoprire l'infame gioco. Con mio marito ho litigato di brutto, perché ho cambiato la password di accesso alla posta: non volevo essere controllata, ma non ho saputo trovare una spiegazione plausibile. E adesso sono qui ad implorare, se non il tuo perdono, almeno la tua commiserazione. E comunque mi pareva giusto espiare e soprattutto darti un motivo per allontanar da te un affetto mal riposto, perché non ne sono degna."

Esausta, ha sputato il rospo tutto d'un fiato, ma nemmeno io sono nelle migliori condizioni. Dire che la rivelazione mi ha sconcertato è poco vicino alla realtà: mi sento come svuotato, per la prima volta in vita mia mi trovo spaesato: sto male nel mondo, ma sto ancora peggio dentro di me.

"Non ho parole - le dico con un filo di voce - ma non ti preoccupare per me: ho la scorza dura"

"Potrai mai perdonarmi?"

"E cosa c'è da perdonare? Ciascuno raccoglie quel che ha seminato"

Ma la conversazione sta prendendo una piega banale, i luoghi comuni la fanno da padrone.

Lei capisce che è tempo di raccogliere morti e feriti sul campo di battaglia ed aspettare tempi migliori.

Se ne va senza salutarmi. Come per lasciare qualcosa in sospeso, forse per avere la scusa di provare più avanti a riprendere le fila.

La guardo andare via senza reazioni. Poi come un automa mi avvicino al PC, lo accndo e comincio a scrivere:

"Adorata Ester, tua moglie ci ha ignobilmente ingannati, traditi!"

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